Ha cominciato con storie di sesso, a volte spinto, spesso anche in azienda. E continuando a rompere le regole è diventato un imprenditore vero: tra i 150 uomini che contano di più in California, uno dei 50 americani sotto i 42 anni più potenti, imprenditore dell’anno per il 2004.
Dov Charney, ebreo canadese 38enne, oggi possiede la fabbrica più grossa del tessile abbigliamento americano: la American Apparel, più di Timberland, di Nike o di Levi’s. Il suo fare impresa è decisamente controtendenza: in barba al credo ufficiale di qualunque business school o di ogni intellettuale del marketing che si rispetti, in tre anni ha aperto 150 stores nessuno uguale ad un altro, tutti diversi (l’esatto opposto della filosofia dei grandi storse, rigorosamente identici in ogni parte del mondo), di cui uno virtuale su Second Life che vende 4mila pezzi al mese; la paga è a cottimo e doppia rispetto alla media del lavoro in fabbrica; la mensa la paga l’azienda e è di ottima qualità; gli operai, quasi tutti spagnoli metà uomini e metà donne, hanno un’assicurazione medica per soli otto dollari a settimana (che a Charney costa 4.5 milioni di dollari all’anno); quando l’American Apparel entrerà a Wall Street ogni dipendente avrà 500 azioni in omaggio (4mila e 500 dollari a testa); non ha mai delocalizzato e mai prodotto una maglietta fuori dalla sua fabbrica. Tutto mentre il colosso dei supermarket paga stipendi da fame, spesso sotto la soglia della povertà, sfruttando gli emigrati chicanos e i nuovi poveri. E mentre noi disquisiamo se è meglio la grande impresa o la piccola, se l’innovazione è verticale o trasversale…
Fabio Spinosa Pingue
Presidente
fabio@pingue.it